A piedi, attraversando i quartieri di Tanà.

Ciao Amici,

oggi vorrei farvi leggere l’esperienza in Madagascar di Elisabetta.

 

Ogni anno, nel mese di agosto, si presenta l’occasione di fare qualche bel viaggio, ma già da un po’ di tempo sentivo che la veste del turista classico mi stava un po’ stretta, o meglio era sempre più spesso accompagnata dalla voglia di conoscere più da vicino, quasi da dentro, i luoghi, la gente e la cultura del paese che andavo a visitare. Da questa esigenza è nata la curiosità e l’interesse verso la proposta che mi è stata rivolta da Antonello Z., di partecipare, cioè, al CICL – Campo Internazionale di Condivisione e Lavoro, che ogni anno il GdS organizza proprio nel mese di agosto. Il Madagascar non era certo tra le mete che avevo in mente ma dal momento che il CICL Rwanda era già completo, non rimanevano molte altre alternative! Nel frattempo conosco anche le altre ragazze che hanno deciso di partecipare alla stessa avventura (Sonia, Elvira, Camilla e Aliai) e sebbene ci sia un bel divario di età con la maggior parte di loro, si crea quasi da subito un bel legame che sarà rinsaldato, con mio personale stupore, anche durante la permanenza in Madagascar.

Sarebbe davvero lungo raccontare i tanti bei momenti vissuti nelle tre settimane trascorse ad Andohatanjona, Ilanivato e Antanifisaka…mi limiterò quindi a condividere quel che più mi è rimasto nel cuore.

Restano impressi nella mente e nel cuore gli sguardi curiosi e i sorrisi delle persone che si incontrano percorrendo a piedi le strade dei quartieri di Antananarivo, sguardi e sorrisi accompagnati sempre da un “bonjour Vahasà” (così chiamano gli stranieri bianchi) e che, nonostante l’accezione, in molti momenti ti fanno sentire a casa.

Rimangono impressi il senso di ospitalità e l’accoglienza ricevuti ogni volta che siamo entrate in una delle loro casette di mattoni asciugati al sole: 3 o 4 mq di terra con un solo letto, dove spesso noi non riuscivamo neanche ad entrarci tutti, ma dove loro riuscivano a vivere con tutta la famiglia (moglie, marito e tre, quattro o cinque figli). “Merci pour votre visite!” è un’altra espressione che risuona, risuona perché ogni volta che la senti pronunciare, ti senti inutile e inadeguato.

Rimangono impresse le attività fatte con l’equipe e i volontari del GdS. Dalla sistemazione dei tavoli nelle mense di Andohatanjona, Ilanivato e Antanifisaka, al lavoro nel “Jardin des enfants”, alla fabbricazione dei “briques” (mattoni) a Ilanivato: ogni momento è stato un’occasione per conoscere e contribuire, seppur marginalmente ai progetti del GdS in questi quartieri, ma soprattutto è stata un’occasione per stare con le persone.

Risulterà ovvio e scontato…ma gli occhi e i sorrisi dei bambini lasciano un segno indelebile: i quasi 100 bambini di Andohantanjona riuniti nel cortile della scuola con cui abbiamo giocato a “ruba bandiera” e a “un, deux, trois…etoile!” (il nostro “un, due, tre…stella!”), gli oltre 50 bambini di Antanifisaka con cui abbiamo provato a giocare a “sbucciadito” e tutti i bambini del GdS  che con i loro fratelli hanno partecipato alla gita di fine anno a Ambohimanga. I bambini sono speciali…con la loro voglia, semplicemente, di stare insieme e di giocare, con la loro pazienza nell’aspettare, con la loro gioia che invadeva le strade quando passavano cantando dentro ai pulmini.

Non si dimentica l’equipe locale del GdS, composta da Rivo, silenzioso ma sempre presente e disponibile a qualsiasi ora del giorno e della notte, Honorè con la sua passione per l’associazione e la voglia di costruire qualcosa in più con la sua gente, Paul con la sua ospitalità e la capacità di accoglierti come una figlia nella sua famiglia e Tsinjo, insegnante personale di lingua e cucina malagasy.

Ma ciò che più rimarrà impresso e, al cui ricordo ancora mi commuovo, sono state le due feste di “veloma” (arrivederci) che ci hanno regalato i bambini e le donne di Antanifisaka, prima, e di Andohatanjona, poi: quel susseguirsi di canti, coreografie di piccoli e grandi, e i regali che arrivavano dalla terra o dal loro lavoro di artigianato.

Tre settimane in cui ho provato a recuperare il valore dell’essenziale, a prendere coscienza di quante cose superflue ci sono nel “nostro mondo”, a scoprire che il silenzio molto spesso comunica, quanto e forse più, delle parole di cui sono invase le nostre giornate, ho imparato ad osservare di più …e forse a guardare anche un po’ oltre me stessa.

 

Elisabetta

      

  

  

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